Manifesto per un’acustica priva di difetti (confessioni di un acustico)

Nella mia pratica, seppure limitata e poco gloriosa, di acustico (e tecnico competente in acustica) ho avuto comunque il piacere di vedere, ascoltare ed analizzare l’acustica di diversi spazi. A partire da quelli “pregiati” per la produzione e fruizione artistica come teatri, auditorium, musei e sale per la registrazione musicale. Ma anche spazi per la didattica come aule, spazi per uso collettivo come stazioni ferroviarie, aeroporti e metropolitane. Fino a spazi per il lavoro come uffici, laboratori e capannoni aziendali. 

Spesso mi è capitato di trovare una mancanza di attenzione per l’acustica architettonica ed in genere al benessere acustico, impianti di sonorizzazione improvvisati con una scarsissima intelligibilità del parlato. Ogni volta cerco di chiedermi il perché questo accada, se si tratti di assenza di progettualità, di un’abitudine consolidata a trascurare il problema oppure sia tutto in balia della sorte.  

Mi accorgo che le altre esigenze progettuali, come quelle architettoniche, impiantistiche e produttive lasciano sempre poco spazio al benessere acustico. Almeno fino a quando il problema del mancato benessere acustico diventa talmente evidente da limitare la fruizione degli spazi, per cui occorre necessariamente intervenire per ricondurre la situazione entro dei limiti ragionevoli.

L’acustica non viene vista come risorsa, ma piuttosto come problema, perché viene identificata con il problema stesso. Non si parla di benessere acustico, ma sempre del disturbo, del superamento dei limiti, dello stress provocato dal rumore (e di conseguenza si esalta l’elogio del silenzio). A mio avviso questo è uno dei principali limiti della coscienza sociale, del vivere comune, che rende difficile parlare di acustica e che pone il tema in fondo alle esigenze di chi specifica e progetta gli spazi. Nel “sentire” comune (e qui vale il doppio significato di sentire con l’udito ma anche con l’animo), la connotazione acustica di alcuni spazi come ad esempio delle piscine, ma anche delle chiese moderne e di alcuni centri commerciali, è ormai quella in cui ci si aspetta di vivere degli spazi impossibili dal punto di vista acustico. Quindi si va oltre l’identificazione del tema acustica con la “cattiva acustica”, addirittura la si giustifica ed accetta come fatto compiuto. Allo stesso tempo, credo per lo stesso motivo di fondo, ovvero perché si ignora, trovo esagerate le lodi tessute per la perfezione acustica dell’antico, come ad esempio per il teatro Greco. Una sorta di nostalgia per un passato perfetto dove si dimentica completamente l’evoluzione storica e sociale per decontestualizzare alcuni aspetti e trarne delle conseguenze al di fuori del tempo.  

Mi si può fare notare come il fatto che professionalmente abbia sempre dovuto approcciare la risoluzione del problema del mancato comfort acustico sia del tutto naturale; come tecnico vengo chiamato a risolvere problemi solo laddove questi si presentino, credo sia in prima battuta una ipotesi ragionevole. 

Dalla mia esperienza la soglia di accettazione sociale della mancanza di comfort in acustica è molto elevata. Le ragioni per questo sono diverse ed affondano le radici in una realtà sociale, in particolare specifica del “bel paese” ma credo non limitata alla nostra nazione, che mette in secondo piano l’ergonomia e la funzionalità degli spazi di fronte all’estetica ed ai vincoli legislativi che introducono rigidità. Giustamente un edificio prima di tutto non deve crollare, deve resistere agli agenti atmosferici, ai terremoti, agli incendi e poi in seconda battuta occorre che gli spazi siano vivibili in modo salubre. L’architettura dovrebbe coniugare questi aspetti con la funzionalità degli ambienti e non meramente assolvere agli obblighi e lasciare poi il resto in secondo piano. L’acustica purtroppo è ben oltre l’essere in “secondo piano” e risale di importanza solo a seguito del verificarsi di situazioni insostenibili. 

Credo che in parte questo fenomeno sia legato al fatto che l’acustica non è “visibile” e per sperimentarla occorre anche l’interazione del soggetto. Un ambiente, una volta illuminato da luce naturale od artificiale, non necessita di “un’azione attiva” per essere visto, basta passivamente restare a guardare per ammirare. Per l’acustica non è così. O almeno lo è solo in alcuni casi in cui la “luce” arrivi dall’esterno dell’osservatore. Ma l’uomo non è soggetto passivo per l’acustica, è egli stesso una “luce” che produce suoni che interagiscono con l’ambiente. La comunicazione verbale, che avviene per mezzo del suono, vede noi stessi come sorgenti e ricevitori, in un ambiente che veicola e trasmette le informazioni. 

In questo contesto, l’acustica architettonica prende vita solamente nel momento in cui gli spazi vengono vissuti, mentre l’architettura (o forse dovrei dire l’architettura visuale) non necessita di questo passaggio e vive di vita propria. Questo credo sia il motivo per cui, senza una profonda coscienza ed una conoscenza progettuale, l’acustica architettonica sia un tema che emerge solo quando in effetti è un problema. Troppo tardi. 

Per quello che riguarda alcuni aspetti del benessere acustico, quali l’acustica “passiva” degli edifici ed il rumore prodotto dagli impianti, la pratica progettuale ma anche la legislazione è ormai matura e permette di realizzare spazi con caratteristiche idonee. Per quello che riguarda invece l’acustica interna degli ambienti l’approccio non può essere lo stesso perché, se mi è consentita ancora l’analogia con la luce, ad esempio l’isolamento acustico cerca di controllare e gestire la “luce” proveniente dall’esterno dell’ambiente, oppure il controllo del rumore prodotto dagli impianti controlla una “luce” prodotta nelle vicinanze o all’interno dell’ambiente. Ma la “luce” che veicola le informazioni viene prodotta solamente dalle interazioni tra i soggetti presenti nell’ambiente, o comunque sperimentata dagli stessi nel caso della riproduzione elettro-acustica. In questi casi il problema è estremamente complesso e non è riconducibile a modelli semplici, tra l’altro nei casi sopra citati di isolamento acustico o rumore prodotto dagli impianti non c’è un contenuto informativo coinvolto, o comunque lo scopo non è veicolare un’informazione quanto limitare un rumore (che per definizione non porta informazione). 

In questo scenario complesso, che coinvolge aspetti fisici, percettivi ed infine sociali, la ricerca scientifica non ha portato alla sintesi di modelli omnicomprensivi, bensì è riuscita ad avere successo in singoli aspetti come ad esempio nella codifica percettiva dei segnali (MP3), nello studio della preferenza delle sale da concerto (Ando) oppure nella valutazione della comprensibilità del parlato (STI). 

Se si cerca di approcciare con metodo scientifico il problema generale dell’acustica architettonica purtroppo è facile dimenticare le basi dello stesso approccio e della modellazione in generale. Il modello su cui vengono effettuate previsioni è un’approssimazione della realtà del fenomeno, e lo deve essere in modo di essere manipolabile, altrimenti non è possibile usarlo, o meglio dovrei dire che non se ne trae alcun vantaggio. Se poi si dimentica che i parametri del modello sono del tutto fittizi e cercano di “interpretare” la realtà, semplificando (modellando) il fenomeno, allora il metodo scientifico perde di valore. In acustica, dato che vengono coinvolti così tanti fenomeni tra cui la percezione dell’individuo, che non è oggettiva, l’accuratezza dei modelli non può essere elevata. Se mi è consentita di nuovo un’analogia, ci troviamo a disegnare su un foglio di un bloc notes con dei pennarelli dalla punta molto larga e morbida, dei pennelloni. Non possiamo pretendere di realizzare dei disegni dettagliati, possiamo solamente abbozzare delle forme. Pretendere di realizzare un disegno dalle linee molto fini è inutile, anzi è controproducente perché il rischio è, nel tentativo di tracciare delle linee precise, quello di produrre delle macchie di colore.

Credo che un acustico debba prima di tutto prendere atto del fatto che gli strumenti che ha a disposizione siano grossolani. Questa presa di coscienza è fondamentale per poter poi cercare di usare al meglio questi strumenti. In teoria, almeno nella parte fisica dell’acustica, il problema generale è risolvibile. Previa disponibilità di risorse di tempo e di calcolo è possibile predire il campo sonoro in un ambiente con un dettaglio teoricamente variabile a piacere. Per specifiche applicazioni questa è anche una soluzione pratica. 

Ma pensare che possa diventare un approccio generico per la progettazione acustica architettonica è un’illusione, perché non dipende dalle sole risorse di calcolo, non è un problema gestibile con la cosiddetta “forza bruta”. Prima di tutto non è possibile ridurre il problema alla sola parte di fisica di propagazione. E’ noto poi che l’ascolto non è solamente mono-sensoriale uditivo, ma è dipendente dagli altri sensi. 

Ma senza limitarsi a questi aspetti, il problema va approcciato dal punto di vista dell’architettura degli ambienti. L’idea che l’architettura possa essere separata dall’acustica è errata. L’architettura è acustica e viceversa. 

Non si può pensare di “risolvere” dei problemi di acustica in modo indipendente dall’architettura, almeno nell’accezione che vede l’architettura come una disciplina “geometrica”. 

Mi stupisco di quanta poca attenzione venga rivolta dagli architetti al tema dell’acustica, ed in effetti l’attenzione richiesta sarebbe poca. Mi stupisco allora del fatto che, seppure produrre “architetture” acusticamente confortevoli sia semplice, tutto ciò venga ignorato e sacrificato di fronte ad altre esigenze. 

Credo che parte del problema sia anche da assumere da parte dei tecnici che si occupano di acustica, che non riescono a comunicare correttamente la “misteriosa tematica invisibile” e che a volte si ergono come custodi gelosi di una conoscenza elitaria. 

Esistono delle semplici regole che permettono di evitare i principali errori che compromettono la vivibilità acustica di uno spazio. Queste dovrebbero essere alla base di una corretta progettazione architettonica che tenga conto dell’acustica. Una volta rispettate queste semplici regole, è possibile poi scendere nel dettaglio ed ottimizzare alcuni aspetti della resa acustica. E qui che i modelli di calcolo possono entrare in scena. Questo è l’approccio che credo sia più funzionale. 

Purtroppo quello che traspare da molti libri di testo e corsi di vario livello è l’approccio di una progettazione acustica “a se stante” che cerca di ottimizzare dei parametri, e che non è detto non possa portare a realizzare ambienti confortevoli, ma rischia in gran parte dei casi di naufragare di fronte alla non applicabilità delle soluzioni proposte. Soprattutto se viene pensata come ad una attività complementare e parallela alla progettazione architettonica tout-court. 

A mio avviso occorre ripensare l’ottimizzazione in ambito di progettazione acustica secondo un’ottica differente, che ribalti il problema. La progettazione acustica non dovrebbe perseguire dei valori ottimali piuttosto dovrebbe cercare di evitare delle zone di “valori errati”. Ad esempio quando si parla di tempo di riverberazione ottimale in funzione di tipologia di ambiente e volume, secondo me si sbaglia approccio. Occorrerebbe piuttosto parlare di evitare l’errore, che è quello di un tempo di riverberazione troppo elevato o troppo basso per un dato ambiente in funzione di destinazione d’uso e volume. Così anche per altri parametri acustici. 

Altro rischio poi è quello di ottimizzare l’acustica di un ambiente perseguendo un singolo parametro o un limitato insieme di parametri tralasciandone altri. Questo approccio è irragionevole e porta al fallimento in molte situazioni, purtroppo però è uno degli approcci maggiormente perseguiti nella pratica della progettazione ed anche nella normazione. 

Ad onore del vero occorre dire che, anche nell’esempio dell’ottimizzazione del tempo di riverberazione, spesso si fa riferimento ad un intervallo ottimale nell’intorno di un valore il che porta esattamente all’approccio da me invocato di evitare tempi troppo bassi o troppo elevati. E’ però il punto di vista che secondo me è sbagliato, si sta guardando il problema da un’ottica errata. L’ottica corretta è quella di evitare l’errore e non quella di ottimizzare all’interno di un intervallo. 

Dalla mia esperienza personale come tecnico in acustica sto imparando dai miei errori, cercando di migliorare di volta in volta le mie conoscenze. Non ho la pretesa di fornire delle soluzioni applicabili ad una moltitudine di problemi o di sviluppare teorie (non ne sono in grado). Confortato però dalle parole di Kuttruff “It is, of course, the purpose of all efforts in room acoustics to avoid acoustical deficiencies and mistakes.” posso fornire quelli che per me sono gli errori da evitare nella progettazione acustica:

  • mancanza di visibilità tra ascoltatore e sorgente, ovvero se non vedo bene allora molto probabile che non senta bene
  • eccesso o mancanza di riverberazione
  • campo sonoro non sufficientemente diffuso
  • fenomeni di echi o ribattuti (che nel caso di sonorizzazione elettroacustica significa sovrapposizione tra sorgenti)
  • riflessioni provenienti prevalentemente da direzioni non laterali
  • insufficiente rapporto segnale/rumore ovvero
    • rumore troppo elevato
    • livello di segnale troppo basso rispetto al rumore
  • livello di segnale troppo basso o troppo alto per un ascolto confortevole

Ovviamente per perseguire l’obiettivo di evitare questi errori non solo è possibile, ma importante utilizzare gli strumenti di modellazione che la tecnologia odierna ci mette a disposizione. Occorre però non perdere di vista gli obiettivi sopra elencati ed evitare di incappare in uno o più degli errori solo per ottimizzare uno o alcuni parametri acustici. Mi si potrebbe obiettare che potrebbe essere possibile modellare l’intero spazio dei parametri sopra indicati e procedere ad una ottimizzazione globale. Forse un giorno si arriverà a questa soluzione, ma occorre avere coscienza del fatto che non si tratta di un mero problema di risorse di calcolo ma di approccio alla modellazione in generale. Aumentando la complessità di un modello ed introducendo più variabili aumentano i gradi di libertà. Applicando una maggiore potenza di calcolo si ottengono sicuramente dei risultati, ma questi risultati ottimizzano il modello e non la realtà modellata. Se il modello non riesce a rappresentare in modo “fedele” la realtà avrò semplicemente speso più risorse per arrivare ad una soluzione errata. E’ il modello stesso che deve essere migliorato, e non è detto che ciò sia possibile. Fino a quel giorno occorrerà applicare le regole di sopra ed ottimizzare lungo le singole “direzioni” utilizzando modelli di calcolo. 

I modelli di calcolo e le simulazioni numeriche assolvono inoltre un’altra importante funzione che non ha direttamente a che fare con la progettazione, ma piuttosto con la comunicazione. Dato che il suono non è “visibile” molto spesso per comunicare alcuni aspetti della progettazione acustica è utile ricorrere a delle visualizzazioni di particolari parametri in forma grafica. Questo permette di far “vedere” il suono e giustificare alcune scelte progettuali e comunicare con gli altri professionisti coinvolti. 

In un mondo ideale l’acustico dovrebbe lavorare in piena sinergia con l’architetto, aiutandolo nella concezione del progetto dello spazio, ed esplorando insieme ad esso le soluzioni possibili. In un mondo ancora più ideale l’architetto è egli stesso un acustico. L’architettura è acustica e viceversa. Purtroppo, o per fortuna per il mio lavoro, l’acustica è una tematica fortemente interdisciplinare e verticale, che richiede competenze specifiche per cui è difficile trovare un bravo architetto che riesca a manipolare la vastità della materia in modo efficace. O più probabilmente un architetto molto bravo sa che ha bisogno di un acustico.  

Spesso come acustico vengo chiamato solo una volta che un luogo è costruito ed i difetti sono evidenti, quando mi è possibile coinvolgo sempre un architetto per avere una visione che non sia miope e veda solo i problemi (e le opportunità) nel ristretto ambito dell’acustica. Anche perché mettere mano all’acustica di un ambiente molto spesso significa doverne modificare l’aspetto geometrico e comunque introdurre dei materiali che modificano l’architettura dell’ambiente. 

A volte però non è possibile coinvolgere un altro professionista, spesso per questioni economiche, perché come scrivevo prima l’acustica è vista come un problema e non una risorsa, una caratteristica imprescindibile del comfort di un ambiente. 

In questi casi come corollario agli errori da evitare da parte del tecnico acustico dovrei aggiungerne altri:

  • mancanza di illuminazione
  • mancanza di areazione
  • mancanza di comfort termico
  • mancanza di “bellezza” in senso architettonico

Non ho mai avuto la pretesa di sostituirmi ad un architetto e di essere in grado di progettare degli interventi di correzione acustica esteticamente gradevoli e funzionali all’uso di uno spazio, ma credo di essere comunque in grado di evitare di stravolgere l’architettura di un ambiente al solo fine di risolverne i problemi di acustica. Spesso vengo chiamato da clienti per realizzare o modificare ambienti specifici per la produzione artistica come studi di registrazione che di sovente sono realizzati in porzioni di edifici non del tutto idonei allo scopo, con il tempo ho realizzato che l’approccio di cui sopra ovvero quello di evitare gli errori sia quello che fornisce le risposte più idonee. Uno spazio deve essere vivibile prima di tutto, prima di essere uno spazio acusticamente idoneo alla produzione artistica. Viceversa uno spazio acusticamente non idoneo alla destinazione d’uso non è comunque vivibile. Mi ripeto, l’architettura è acustica e viceversa. 

Non è assolutamente mia intenzione mettere in dubbio decenni di ricerca e di pubblicazioni scientifiche al riguardo della progettazione acustica degli ambienti, ma la mia pratica lavorativa mi ha portato gradualmente ad un cambio di prospettiva che rende l’acustica una materia estremamente “semplice”. Basta evitare gli errori. Basta applicare il “buon senso”, anche se inteso nell’accezione dell’acustico. 

Mi rendo conto che questa banalizzazione possa essere anche vista come una provocazione, la metto giù talmente semplice che potrei far pensare che la figura stessa dell’acustico sia superflua. Ed in parte è così, le decisioni “banali” dal punto di vista acustico le dovrebbe prendere il progettista architettonico conscio degli errori da evitare, senza dover scendere nel dettaglio delle soluzioni acustiche, basta prevedere che queste ci siano e che non vengano rese inefficaci. 

L’acustica è una materia estremamente complessa che richiede competenze interdisciplinari, una materia “verticale” che interessa aspetti che vanno dalla fisica alle neuro-scienze. Il mio non è un tentativo di liquidare il tutto con la giustificazione della complessità. Ma questa complessità non può che essere gestita, ed il primo passo è quello di evitare gli errori che comprometterebbero qualsiasi altra scelta progettuale. Una base di partenza da cui poi l’acustico può partire e fare la differenza fornendo soluzioni che massimizzino il comfort di un ambiente.  

Credo che evitando i pochi difetti qui elencati si possano realizzare ambienti dalle caratteristiche acustiche corrette. Questo approccio garantisce una sufficiente libertà dal punto di vista della progettazione architettonica in modo che possano essere realizzati ambienti non solo corretti acusticamente ma architettonicamente interessanti.  

Chiudo questa mia confessione con le parole di un acustico di scuola nord-europea, ben più esperto e navigato del sottoscritto, raccolte durante una chiacchierata informale a lato di un convegno: “L’acustica perfetta è quella che nessuno nota e di cui nessuno parla.”.